Ricordo dell’ex direttore dei Servizi culturali di Cattolica, artefice di grandi eventi di Marcello Di Bella
– Credo si possa dire oggettivamente che il periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e la metà dei Novanta fu caratterizzato a Cattolica da una attività e da realizzazioni culturali fuori dell’ordinario. Perciò nulla vieta che si possa ancora proseguire oggi lungo quel sentiero, anche se i tempi sono cambiati da quasi ogni punto di vista, a Cattolica, nel Paese, in Europa, nel mondo.
Quegli anni sembravano, da queste parti, per usare una locuzione diventata allora d’uso comune, lo “stato nascente” di una città ideale diffusa, dove cultura e politica parevano vicine a realizzare effetti più che promettenti.
Le nuove Regioni, un agguerrito ceto politico amministrativo e tecnico, specie nella neo nata Regione Emilia-Romagna, una politica nazionale in fermento contrastavano un ribollire di spiriti antagonisti in cui l’utopia si poteva confondere con il delitto orchestrato forse da molto lontano.
D’altro canto le forme dell’autonomia, le vocazioni libertarie e anarchiche sfociarono nel delitto di massa, negli attentati, nelle stragi, nella rivolta violenta, peraltro contro un mondo certo non delicato. In campo culturale sembrava dominante un pensiero decostruttivo, ma certo non in senso analitico.
La risposta da parte delle istituzioni presenti in terre di antica sperimentazione socialista fu allora quella di affermare il primato di ciò che è pubblico, del soddisfacimento concreto dei diritti civili e sociali, del primato della politica ma nel contempo nella difesa dell’autonomia della cultura.
Insomma, una linea costituzionalista, perseguita nei luoghi in cui un Partito comunista italiano in trasformazione ed egemone nelle Romagne poteva ritagliarsi uno spazio operativo, ad esempio nelle province e nei comuni amministrati, specie attraverso gli strumenti culturali quali le biblioteche, i teatri, i musei.
A Cattolica si concretizzò in piccolo quello che filosofi della storia poco scientificamente ma icasticamente definirono una sorta di “periodo assiale”, cioè un tempo in cui si compiono cose che rappresenteranno l’apice (ovviamente relativo) di un comunità. Con il pungolo antagonista di una piccola radio urticante e acuta, Radio Talpa, nata nel ’77, anno terribile per molti aspetti.
Furono testimonianza di quel tempo il progetto urbanistico e architettonico (di Pier Luigi Cervellati), il finanziamento e la realizzazione (direttore dei complessi lavori Attilio Filippini) del Centro culturale polivalente, cioè di quel complesso edilizio e istituzionale che raccordava intorno a una piazza una biblioteca, un museo, un teatro, una arena all’aperto e altri esercizi privati: una “piazza del sapere” di cui oggi si continua a teorizzare la necessità ignorando questo singolare antecedente.
Non posso non ricordare che lo spunto, raccolto da amministratori coraggiosi, fu dato da una legge regionale del 1977 che finanziava servizi di questo tipo.
La nascita dell’Istituto per i beni culturali, naturali e artistici della Regione Emilia-Romagna con la contestuale creazione, al suo interno, di una Soprintendenza per i beni librari e documentari rappresentava un ulteriore segno di civiltà: direttore un battagliero e abilissimo bibliotecario come Nazzareno Pisauri e segretario generale e fondatore Giuseppe Guglielmi anche lui bibliotecario ma soprattutto raffinato letterato.
In città agiva come Assessore alla cultura Attilio Giacchini Bigagli, con cui iniziò una stagione di apertura non localistica della vita culturale, che chiamerei, forse un po’ enfaticamente, l’età dei Maestri. Con ricchi corollari in ogni ambito “delle lettere, delle scienze, delle arti”.
Tra le tante iniziative spiccava il MystFest, un festival internazionale del cinema ricco di incontri non solo con registi e attori, ma anche con personalità di notevole rilievo del mondo culturale italiano e straniero, tra i quali Umberto Eco, Oreste Del Buono, Beniamino Placido, Giorgio Celli e tantissimi altri.
Siamo nel 1980, stesso anno in cui si realizza anche la prima rassegna di “Che cosa fanno oggi i filosofi?”: un primo ciclo cui ne seguiranno altri 19, diventati 20 proprio quest’anno dopo quindici di interruzione grazie all’esperimento azzardato ma riuscito dell’Assessore Anna Sanchi: l’idea, in controtendenza rispetto al diffuso prevalere di attività spettacolari, era quella di condividere con un vasto pubblico il gusto per il sapere critico, per un’idea di filosofia come spirito indagatore.
Fortunatamente, oltre a diverse pubblicazioni, di tutte le conferenze della rassegna e di altre sono conservate in Biblioteca le videoregistrazioni: centinaia, che forse qualcuno si potrebbe incaricare di rendere fruibili in rete.
Sottolineo, per restare nell’ambito della filosofica rassegna, i considerevoli i profili di personalità allora convocate come maestri dispensatori di sintesi originali, filosofi in senso originario, cioè di scienziati e pensatori oltre il proprio orto ristretto: rinvierei, per il non breve elenco, al volume riccamente illustrato curato da Annamaria Bernucci, Orlando Piraccini e Andrea Toscani che fu pubblicato nel 2008 per i 25 anni del Centro Culturale Polivalente: si intitola Biblioteamus, nome attribuitogli da Giuseppe Guglielmi come acronimo di Biblioteca, Museo,Teatro promosso dall’Istituto per i Beni Culturali dell’Emilia-Romagna, edito da Bononia University Press. Il repertorio finale delle iniziative è imponente e, credo, molto istruttivo.
A pochi giorni dalla scomparsa di Umberto Eco penso che anche a Cattolica, il grande ed enciclopedico maestro della sagacia e dell’ironia abbia lasciato molto, proprio con il suo sostegno anche organizzativo concesso alla manifestazione, della quale poi favorì la pubblicazione degli atti presso Bompiani (1982) arricchiti della sua presentazione e che auspicabilmente oggi andrebbero ripubblicati.
Una manifestazione che, forse la più autorevole tra le tante, aiutò la credibilità dell’Amministrazione nel richiedere e ottenere finanziamenti e soprattutto nel contribuire alla formazione e all’aggiornamento di tante persone, giovani e no.
Eco non fu attivo solo all’inizio dell’impresa, quando mi ricevette nel suo studio al Centro internazionale di studi semiotici della Università di Bologna per discutere il progetto, o quando si entrò nei dettagli operativi in una bella serata d’autunno nella sua casa di Monte Cerignone in compagnia di Attilio Bigagli, anche lui, come il sottoscritto, ancora fresco di studi filosofici. Nel corso degli anni intervenne in vari cicli, come quello del 1985 dedicato alla retorica di ieri e di oggi.
Anche in questo caso aiutò a far pubblicare presso Mucchi gli atti del convegno: un testo che si apre con l’intervento di Eco dal titolo Il messaggio persuasivo, da rileggere oggi con molta attenzione come antidoto, per ripararsi dai suasori di varie risme.
Eco si dichiarava ed era filosofo nel senso più classico del termine e tale amava essere considerato, anche quando si occupava di temi popolari, come la letteratura poliziesca, o il fumetto: ricordo un suo intervento al Mystfest in cui parlò dottamente di “abduzione” a proposito del metodo di Sherlock Holmes; anche qui non mescolava come si usa dire “alto e basso”, ma continuava ad applicare la sua vasta dottrina qualunque fosse l’oggetto d’indagine. Come era avvenuto per la “fenomenologia di Mike Bongiorno”.
Questo spiega la sua curiosità senza limiti, tipicamente filosofica, per ogni aspetto dell’esperienza, con particolare riguardo alle questioni essenziali, quelle che si usa chiamare ultime
Ed era anche generoso, come quando anticipò a Cattolica un suo saggio sul mito di una lingua perfetta, universale, nel 1992, anno critico per la rassegna, non finanziata ufficialmente per rigurgito di una delle tante crisi economiche di matrice reaganistico-thatcheriane.
L’ultima volta che intervenne a Cattolica fu nel 1994, all’interno di un ciclo intitolato “Metafisica”, piuttosto fuori dell’ordinario, che sarà poi pubblicato nel 1997 da Laterza nella sua “Universale”.
La sua conferenza si intitolava con luminosa ironia Brevi cenni sull’essere, locuzione dichiaratamente ispirata da una boutade di Antonio Gramsci che così definiva un libro certo non amato; qui la posizione del problema cominciava nel più classico dei modi con la domanda “perchè c’è qualcosa piuttosto che niente?”.
Tanto ci sarebbe da dire, ma mi piace concludere con la risposta piena di spirito data a una domanda sul senso della morte posta durante il suo intervento nella prima edizione: “Per il filosofo è un’occasione […] la morte di Zenone. Costui cospira contro il tiranno; il tiranno lo fa arrestare, torturare e ci sono due versioni: una che Zenone ha paura di confessare per il troppo dolore e allora chiama il tiranno e gli dice: vieni, che ti dico il nome dei complici nell’orecchio. Il tiranno accosta l’orecchio e lui glielo mangia, così il tiranno lo uccide subito con la spada e Zenone è salvo: non soffre e non denuncia.
L’altra è più bella ancora: Zenone denuncia al tiranno i complici: solo che invece di dire i nomi dei suoi amici, dice i nomi degli amici del tiranno e questi, stupido come tutti i tiranni, fa subito uccidere anche costoro, così rimane sguarnito di tutti gli amici. Questo mi pare un bel modo per trarre partito dalla propria morte”.
Tema ripreso anche in seguito, sempre con sorriso e arguzia.
Ho continuato per anni, a Rimini e a Pesaro ad avere la fortuna di presentare Eco in iniziative consimili, ma soprattutto mi piace ricordarlo la scorsa primavera, ospiti entrambi di Franca Mancini, la sua amica gallerista. Mi aveva concesso una breve intervista video in vista della ripresa a Cattolica di “Che cosa fanno oggi i filosofi?”; rispondendo alla antica domanda con un riferimento alla cosi detta svolta cognitiva, cioè a quel genere di problemi di varia natura, scientifica, tecnica, politica, economica, etica, e certo anche filosofica suscitati dalla pervasività delle neuroscienze, del controllo digitale, dell’intelligenza artificiale, etc.
Non escludeva di aprire un ciclo eventualmente a ciò dedicato, sempreché in vita, aggiungeva sottovoce.
Anche grazie a Eco, penso, Cattolica fu talora qualificata, un po’ scherzosamente, la piccola Atene dell’Adriatico.