LE RAGIONI DEL SI’ – Conferenza pubblica dom. 10 ore 17,30 nello SPAZIO°Z di Radio Talpa – Relatore STEFANO PARMEGGIANI ing. ambientale.
17 domande e risposte sul referendum del 17 Aprile – per fermare le trivelle
1. Cosa s’intende per trivelle?
Quando si parla di Trivelle ci si riferisce alle perforazioni per estrarre petrolio o gas, che siano in terraferma o in mare. Trivelle è una semplificazione giornalistica, ma rende l’idea.
2. Qual è il quesito su cui voteremo il 17 Aprile?
Il quesito è come al solito incomprensibile ai più. Tradotto in termini semplici, chiede ai cittadini se le concessioni per trivellare in mare – entro le 12 miglia marine (cioè poco più di 22 Km) – debbano terminare alla loro scadenza oppure durino “fino alla vita utile del giacimento”, cioè senza un limite preciso e prestabilito.
Il quesito riguarda quindi solo le concessioni in mare già accordate e tuttora valide; nuove trivellazioni entro le 12 miglia marine sono proibite dalla legge. Il quesito non interviene quindi né sulle trivellazioni in mare oltre le 12 miglia, né su quelle in terraferma.
3. Se vince il SI’?
Il SI’ serve ad abrogare, cioè a cancellare, quanto stabilito dalla Legge di Stabilità 2016: che le concessioni per le trivelle vengano prorogate “fino alla vita utile del giacimento”. In altre parole, senza alcun limite. Se si cancella quella parte di legge, le concessioni potranno arrivare fino alla scadenza già prevista in precedenza, senza ulteriori rinnovi. Il che comunque vuol dire nella maggior parte dei casi ancora diversi anni.
4. Se vince il NO?
La norma rimarrà in vigore. Le compagnie di idrocarburi potranno rinnovare le concessioni ed estrarre a ritmi più bassi per non dover pagare royalties – rimanendo sotto la quota della franchigia (vedi risposta .15).
Potranno inoltre allungare i tempi di dismissione degli impianti, piuttosto che smantellare e bonificare le zone interessate.
5. Perché fermare le trivelle?
Facendo terminare alla scadenza già prevista le attuali concessioni, si minimizzano i rischi di inquinamento dei nostri mari e i pericoli di eventuali incidenti.
Fermando le estrazioni di energie fossili (petrolio e gas) si potrà scommettere con più coraggio sulle rinnovabili, che hanno sicuramente un minore impatto sul territorio.
I quantitativi di petrolio e gas da estrarre sono comunque modesti. Anche estraendo tutte le riserve certe dai nostri mari, avremmo petrolio solo per 7 settimane di consumi e gas per 6 mesi.
6. Perché se ne sente parlare poco?
Il governo Renzi sta facendo di tutto perché questo referendum passi sotto silenzio e la gente non vada a votare. Con lo Sblocca Italia aveva tolto a regioni ed enti locali la possibilità di intervenire in maniera significativa nei procedimenti per le concessioni, mentre concentrava la maggior parte del potere decisionale nelle mani del Ministero dello Sviluppo Economico, e quindi del governo stesso
In questo senso le trivelle hanno inquinato la democrazia anche più dell’ambiente, perché si sono accompagnate a scelte che hanno limitato fortemente la partecipazione dal basso, per evitare che i cittadini con le loro proteste intralciassero gli affari delle compagnie di idrocarburi.
Solo lotte e proteste in tutt’Italia sono riuscite a far fare al governo Renzi passi indietro parziali ma importanti; e solo mantenendo alta la mobilitazione riusciremo a difendere queste conquiste e a rompere la cappa di silenzio.
7. Perché è importante andare a votare?
E’ importante dunque votare per dare una serie di segnali forti al governo e alla classe politica. Che vogliamo abbandonare le vecchie energie fossili, più inquinanti e scarse, per incentivare le rinnovabili. Che vogliamo cambiare anche questa politica “fossile”. Che vogliamo un modello di vita più sostenibile e rispettoso dell’ambiente e delle attività dell’uomo. Che vogliamo difendere i nostri territori, che non vale certo la pena di sacrificare turismo, pesca, agricoltura, enogastronomia e cultura per pochi barili, che le nostre vite valgono più dei profitti delle imprese di idrocarburi.
8. Ma non erano 6 i referendum?
In realtà nel Settembre 2015, su pressione di oltre 200 movimenti e associazioni riunite nel Coordinamento No Triv, 10 regioni – tra cui molte governate dallo stesso PD – avevano presentato un pacchetto di 6 referendum. In parte per imbrigliare la protesta che cresceva, in parte per recuperare un potere decisionale che era stato ridotto al minimo.
Di questi 6 referendum, 3 sono stati recepiti dal governo con la legge di stabilità 2016. Una mezza vittoria per il fronte No Triv, con il governo che aveva paura che i cittadini si pronunciassero e cercava quindi in ogni modo di limitare il ricorso alle urne.
Altri 2 quesiti sono venuti a cadere per dei cavilli, e così è rimasto in piedi solo un quesito – peraltro modificato, dato che il governo nel frattempo ha cambiato per l’ennesima volta le carte in tavola.
Il solo quesito rimasto ha finito quindi per assumere una valenza molto più ampia rispetto al tema su cui si pronunceranno i cittadini il 17 Aprile, che affronta solo una piccola parte del problema.
9. Dove si vota?
In tutta Italia. Anche nelle regioni che non si affacciano sul mare.
Per questo è importante mobilitarsi per portare più gente possibile al voto.
Che comunque, decide della politica energetica e del futuro di tutto il paese.
10. Oltre alle trivelle si protesta anche contro l’air-gun. Cos’è?
In parole semplici l’air-gun è una tecnica di ricerca in mare delle zone ricche di idrocarburi, tramite il bombardamento dei fondali marini con aria compressa. E’ particolarmente impattante e pericolosa per la fauna marina, tant’è che l’anno scorso stava per essere inserita tra gli Ecoreati, prima di essere eliminata all’ultimo momento, con grande soddisfazione delle lobby petrolifere.
11. Si perderanno posti di lavoro?
La perdita dei posti di lavoro è uno degli argomenti “forti” dei Pro-Triv, che su questo danno numeri tra di loro anche molto discordanti. Per giustificare cifre molto alte di licenziamenti, arrivano a parlare addirittura di un calo della produzione del 60-70% da un giorno all’altro. Sappiamo invece che le concessioni andranno a scadere in maniera molto graduale in diversi anni, in alcuni casi anche più di 10.
Inoltre, la quota di produzione delle trivelle entro le 12 miglia marine, cioè quelle interessate dal referendum, è in realtà modesta: rappresenta solo il 17,6% della produzione nazionale di gas e il 9,1% della produzione nazionale di petrolio.
La perdita dei posti di lavoro è in realtà dovuta soprattutto al basso costo del petrolio, che ha portato a licenziamenti, tagli e delocalizzazioni ben prima del referendum.
Quella petrolifera è comunque un’industria a bassa intensità di lavoro, come riconosciuto anche da esperti del settore; considerate che il progetto Ombrina, uno dei più grandi e contestati davanti alle coste abruzzesi, avrebbe portato direttamente solo 24 occupati.
Se il petrolio portasse così tanto lavoro, la Basilicata – definita il “Texas italiano” perché produce circa il 70% del petrolio italiano – non sarebbe una delle regioni con maggiore disoccupazione.
Investendo sulle rinnovabili, essendo più diffuse e meno concentrate in poche mani, si avrebbe in proporzione un numero ben più alto di posti di lavoro. A causa dei tagli (retroattivi) agli incentivi alle rinnovabili, in 3 anni, dal 2012 al 2014, si sono persi circa 117.000 addetti.
Se poi guardiamo i settori che verrebbero messi in pericolo dalle trivelle, come pesca e turismo, il confronto occupazionale sarebbe ancora più impietoso.
12. Estraendo di più saremo indipendenti come paese dal punto di vista energetico?
Quando un’azienda di idrocarburi, sia italiana che estera, estrae gas o petrolio, diventa suo, e può farci quello che vuole – rivenderlo a noi come sui mercati internazionali al miglior offerente; non c’è dunque una correlazione tra maggiori estrazioni in Italia ed autosufficienza energetica del paese.
Le quantità ancora da estrarre, le riserve certe, sono poi tutto sommato scarse – meno del 10% del consumo; siamo quindi costretti ad importare comunque più del 90%.
13. Ma tanto estraggono in Croazia…
Non sarebbe un buon argomento. Non si dovrebbero inseguire gli esempi positivi? Se gli altri inquinano, dovremmo farlo anche noi? Meglio fermare le trivelle in entrambe le sponde dell’Adriatico!
E’ curioso comunque che in Croazia alcuni politici usino gli stessi argomenti: “tanto lo fanno anche in Italia…”. Comunque questo luogo comune è ormai venuto a cadere, visto che le trivellazioni in Croazia sono calate drasticamente, per motivi economici e politici.
14. Ma le rinnovabili non sono poco diffuse?
Se il consumo di petrolio è calato negli ultimi 10 anni del 33%, e quello di gas del 21%, le rinnovabili sono cresciute a livelli fino a poco fa impensabili.
In Italia proviene da fonti rinnovabili ormai ben il 43% dell’energia elettrica – 10 anni fa eravamo al 15%!
Se in Germania questa percentuale arriva al 60%, con poche ore di sole al giorno, pensate cosa potremmo fare in Italia!
Chiedetevi anche perché l’Arabia Saudita sta investendo pesantemente sulle rinnovabili.
15. Quanto guadagniamo dalle trivelle?
Le compagnie che estraggono idrocarburi devono pagare allo Stato delle royalties – cioè una quota percentuale, tra il 7 e il 10%, di quanto estratto. Ricordiamo che in alcuni stati, come la Norvegia e la Russia, queste percentuali arrivano a 70 e 80%!
Ancora peggio: c’è anche una sorta di franchigia, per cui le compagnie non pagano niente se estraggono cioè fino a 20.000 tonnellate di petrolio su terraferma o 50.000 tonnellate in mare. Per questo, anche in presenza di quantitativi bassi, le aziende hanno convenienza a trivellare.
Benvenuti nel paradiso fiscale per petrolieri!
16. Possono tradire il referendum, come hanno già fatto per quello sui servizi pubblici (sull’acqua) di 5 anni fa o del finanziamento pubblico ai partiti?
Questa volta il referendum interviene in maniera puntuale – e lascia meno spazio alle interpretazioni.
Se non ci fossero comunque lotte e mobilitazioni, il governo avrebbe buon gioco a stravolgerne il risultato, come ha fatto ad esempio per i referendum di 5 anni fa sui servizi pubblici – che nello spirito era un referendum per l’acqua pubblica, mentre in realtà il PD ne ha stravolto gli esiti, presentando una proposta di legge (decreto Madia) che va in direzione opposta, per fare in modo che alla gestione partecipino solo i privati.
17. Ma voi non usate la macchina?
Certo! A volte siamo costretti a farlo, visto che non sempre ci sono alternative. Ci piacerebbe che ci fosse un trasporto pubblico più efficiente, capillare, puntuale e meno inquinante. Che ci fosse più attenzione all’ambiente, alla sostenibilità e al nostro futuro. E’ chiedere troppo?
di Antonino Rapisarda (Trivelle Zero e Comitato No Triv)