Il Discorso della montagna di Gabriele Paci (tratto da la Piazza di agosto 2015)
Scritto da il 12 Agosto 2015
Il Discorso della montagna
Papa Francesco e il suo epocale Discorso di Santa Croce della Montagna. Come già Mosè e Gesù
di Gabriele Paci
(tratto da la Piazza di agosto 2015)
– Sarà la montagna, con la purezza e rarefazione dell’aria che dà euforia. Fatto sta che da Mosè sul Monte Sinai (2.285 metri), a Gesù di Nazareth su di un poggio nei pressi diCafarnao a nord del Mar di Galilea (altezza non disponibile), a Jorge Mario Bergoglio a Santa Cruz de la Sierra, Santa Croce della Montagna (380 metri), abbiamo visto ed udito cose straordinarie. Rivoluzionarie ed epocali. Con il proprio personale Discorso della montagna tenuto ai Movimenti popolari il 9 Luglio 2015,Papa Francesco ha ora a sua volta messo in campo una svolta che resterà. Ricompresa nell’appello finale:“Nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun popolo senza sovranità, nessuna persona senza dignità, nessun bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza una venerabile vecchiaia”. Riportato e citato parzialmente, a brani e tratti, merita di essere conosciuto, e letto, e riletto. Approfondito perché porti frutto. Perciò, ora che questo Viaggio in America Latina è terminato, vale la pena riproporlo integralmente. Come facciamo a seguire, assieme all’antecedente Discorso del suo capo e predecessore, quasi 2.000 anni fa.
Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, al II Secondo Incontro Mondiale dei Movimenti popolari
Discorso di Santa Croce della Montagna
Fonte: Sala Stampa Vaticana
Santa Cruz de la Sierra (Santa Croce della Montagna), Bolivia, 9 Luglio 2015
Sorelle e fratelli, buon pomeriggio! Qualche mese fa ci siamo incontrati a Roma ed ho presente quel primo nostro incontro. Durante questo periodo vi ho portato nel mio cuore e nelle mie preghiere. Sono contento di rivedervi qui, a discutere sui modi migliori per superare le gravi situazioni di ingiustizia che soffrono gli esclusi in tutto il mondo. Grazie, Signor Presidente Evo Morales, perché accompagna così risolutamente questo Incontro. Quella volta a Roma ho sentito qualcosa di molto bello: fraternità, decisione, impegno, sete di giustizia. Oggi, a Santa Cruz de la Sierra, ancora una volta sento lo stesso. Grazie per tutto ciò. Ho saputo anche dal cardinale Turkson presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che molti nella Chiesa si sentono più vicini ai movimenti popolari. Me ne rallegro molto! Vedere la Chiesa con le porte aperte a tutti voi, mettersi in gioco, accompagnare, e programmare in ogni diocesi, ogni Commissione di Giustizia e Pace, una reale collaborazione, permanente e impegnata con i movimenti popolari. Vi invito tutti, Vescovi, sacerdoti e laici, comprese le organizzazioni sociali nelle periferie urbane e rurali, ad approfondire tale incontro. Dio ci consente di rivederci nuovamente oggi. La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il grido del suo popolo e anch’io desidero unire la mia voce alla vostra: le famose “tre t”: terra, casa e lavoro per tutti i nostri fratelli e sorelle. L’ho detto e lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pena, vale la pena di lottare per essi. Che il grido degli esclusi si oda in America Latina e in tutta la terra.
1. Prima di tutto, iniziamo riconoscendo che abbiamo bisogno di un cambiamento. Ci tengo a precisare, affinché non ci sia fraintendimento, che parlo dei problemi comuni a tutti i latino-americani e, in generale, a tutta l’umanità. Problemi che hanno una matrice globale e che oggi nessuno Stato è in grado di risolvere da solo. Fatto questo chiarimento, propongo di porci queste domande:
– Sappiamo riconoscere, sul serio, che le cose non stanno andando bene in un mondo dove ci sono tanti contadini senza terra, molte famiglie senza casa, molti lavoratori senza diritti, molte persone ferite nella loro dignità?
– Riconosciamo che le cose non stanno andando bene quando esplodono molte guerre insensate e la violenza fratricida aumenta nei nostri quartieri? Sappiamo riconoscere che le cose non stanno andando bene quando il suolo, l’acqua, l’aria e tutti gli esseri della creazione sono sotto costante minaccia?
E allora, se riconosciamo questo, diciamolo senza timore: abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento.
Voi nelle vostre lettere e nei nostri incontri – mi avete informato sulle molte esclusioni e sulle ingiustizie subite in ogni attività di lavoro, in ogni quartiere, in ogni territorio. Sono molti e diversi come molti e diversi sono i modi di affrontarli. Vi è, tuttavia, un filo invisibile che lega ciascuna delle esclusioni. Non sono isolate, sono unite da un filo invisibile. Possiamo riconoscerlo? Perché non si tratta di problemi isolati. Mi chiedo se siamo in grado di riconoscere che tali realtà distruttive rispondono ad un sistema che è diventato globale. Sappiamo riconoscere che tale sistema ha imposto la logica del profitto ad ogni costo, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura?
Se è così, insisto, diciamolo senza timore: noi vogliamo un cambiamento, un vero cambiamento, un cambiamento delle strutture. Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi …. E non lo sopporta più la Terra, la sorella Madre Terra, come diceva san Francesco.
Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo perché oggi l’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali. La globalizzazione della speranza, che nasce dai Popoli e cresce tra i poveri, deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza!
Oggi vorrei riflettere con voi sul cambiamento che vogliamo e di cui vi è necessità. Sapete che recentemente ho scritto circa i problemi del cambiamento climatico. Ma questa volta, voglio parlare di un cambiamento nell’altro senso. Un cambiamento positivo, un cambiamento che ci faccia bene, un cambiamento che potremmo dire redentivo. Perché ne abbiamo bisogno. So che voi cercate un cambiamento e non solo voi: nei vari incontri, nei diversi viaggi, ho trovato che esiste un’attesa, una ricerca forte, un desiderio di cambiamento in tutti i popoli del mondo. Anche all’interno di quella minoranza in diminuzione che crede di beneficiare di questo sistema regna insoddisfazione e soprattutto tristezza. Molti si aspettano un cambiamento che li liberi da questa tristezza individualista che rende schiavi.
Il tempo, fratelli, sorelle, il tempo sembra che stia per giungere al termine; non è bastato combattere tra di noi, ma siamo arrivati ad accanirci contro la nostra casa. Oggi la comunità scientifica accetta quello che già da molto tempo denunciano gli umili: si stanno producendo danni forse irreversibili all’ecosistema. Si stanno punendo la terra, le comunità e le persone in modo quasi selvaggio. E dopo tanto dolore, tanta morte e distruzione, si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea – uno dei primi teologi della Chiesa – chiamava lo “sterco del diavolo”. L’ambizione sfrenata di denaro che domina. Questo è lo “sterco del diavolo”. E il servizio al bene comune passa in secondo piano. Quando il capitale diventa idolo e dirige le scelte degli esseri umani, quando l’avidità di denaro controlla l’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo fa diventare uno schiavo, distrugge la fraternità interumana, spinge popolo contro popolo e, come si vede, minaccia anche questa nostra casa comune, la sorella madre terra.
Non voglio dilungarmi a descrivere gli effetti negativi di questa sottile dittatura: voi li conoscete. E non basta nemmeno segnalare le cause strutturali del dramma sociale e ambientale contemporaneo. Noi soffriamo un certo eccesso diagnostico che a volte ci porta a un pessimismo parolaio o a crogiolarci nel negativo. Vedendo la cronaca nera di ogni giorno, siamo convinti che non si può fare nulla, ma solo prendersi cura di sé e della piccola cerchia della famiglia e degli affetti.
Cosa posso fare io, raccoglitore di cartoni, frugatrice tra le cose, raccattatore, riciclatrice, di fronte a problemi così grandi, se appena guadagno quel tanto per mangiare? Cosa posso fare io artigiano, venditore ambulante, trasportatore, lavoratore escluso se non ho nemmeno i diritti dei lavoratori? Cosa posso fare io, contadina, indigeno, pescatore che appena appena posso resistere all’asservimento delle grandi imprese? Che cosa posso fare io dalla mia borgata, dalla mia baracca, dal mio quartiere, dalla mia fattoria quando sono quotidianamente discriminato ed emarginato? Che cosa può fare questo studente, questo giovane, questo militante, questo missionario che calca quartieri e luoghi con un cuore pieno di sogni, ma quasi nessuna soluzione ai suoi problemi? Potete fare molto. Potete fare molto! Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana delle “tre t”, d’accordo? – lavoro, casa, terra – e anche nella vostra partecipazione attiva ai grandi processi di cambiamento, cambiamenti nazionali, cambiamenti regionali e cambiamenti globali. Non sminuitevi!
(continua in settembre)