“All’origine dell’umano. Tre indagini sul tempo profondo”
Tra il 24 febbraio e il 16 marzo 2024, il Salone Snaporaz di Cattolica ospiterà la seconda edizione di “All’origine dell’umano. Tre indagini sul tempo profondo”, un ciclo di incontri organizzato dal Museo della Regina sul tema dell’evoluzione umana. Negli ultimi decenni le scienze che si occupano dello studio dell’evoluzione hanno operato un radicale cambiamento di prospettiva nel modo in cui è concettualizzato il percorso che ci ha portato a diventare gli umani che siamo oggi. Come sottolineava il filosofo della scienza Telmo Pievani in La vita inaspettata. Il fascino di un’evoluzione che non ci aveva previsto (2011), la nostra solitudine sulla terra non può essere più raccontata come l’esito di una storia necessaria e inevitabile, come una marcia inesorabile verso la conquista dell’umanità culminante nell’uomo bianco della specie Sapiens, quanto piuttosto come un intricato cespuglio evolutivo segnato dalla contingenza. Più che come una linea retta, infatti, l’evoluzione è proseguita per ramificazioni, con specie umane diverse ma coeve che hanno convissuto per decine di migliaia di anni, talvolta ibridandosi con alcuni antenati, parenti e cugini che si sono successivamente estinti.
In questa seconda edizione, tre illustri studiosi ci condurranno nel tempo profondo dell’umanità per approfondire, grazie ai contributi della paleoantropologia e dell’archeologia, alcune tappe fondamentali del percorso straordinario e imprevisto dell’evoluzione della nostra specie. Il primo incontro, sabato 24 febbraio alle ore 17.00, ospiterà Damiano Marchi, professore associato all’Università di Pisa. Marchi è il solo ricercatore italiano che ha preso parte al lavoro del gruppo di ricerca internazionale che ha descritto la specie Homo naledi, pubblicando successivamente il saggio Il mistero di Homo naledi (Mondadori, 2016). Nel suo intervento, dedicato alle Ultime scoperte sull’evoluzione del bipedismo nell’uomo, Marchi ripercorrerà le più recenti scoperte che negli ultimi anni hanno reso più articolata la ricostruzione dell’evoluzione del bipedismo. Per definizione, gli ominini (il gruppo a cui noi esseri umani apparteniamo) sono scimmie antropomorfe bipedi. La postura eretta e il camminare su due gambe sono ciò che contraddistinguono Homo sapiens e tutti i suoi antenati dai nostri parenti scimmieschi. L’idea comune in antropologia è che il bipedismo si sia evoluto in Africa agli albori della nostra evoluzione, intorno a sei milioni di anni fa, da qualche forma molto simile agli odierni scimpanzé. Pur essendo in grado di camminare su due piedi sul terreno, i nostri antenati australopitechi mantenevano ancora buone capacità di arrampicarsi sugli alberi. Con l’evoluzione del genere Homo, si sarebbe abbandonata questa capacità per specializzarsi nella locomozione bipede sul terreno. Scoperte fossili recenti e nuovi metodi di indagine hanno però fornito nuovi dati che complicano la ricostruzione dell’evoluzione della capacità di muoversi su due gambe nei nostri antenati scimmieschi e il processo di progressivo abbandono della capacità di arrampicarsi sugli alberi nel genere Homo.
Il secondo incontro, sabato 2 marzo, alle ore 17.00, ospiterà Marco Peresani, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Ferrara e divulgatore scientifico, autore di numerose pubblicazioni in riviste accademiche e monografie, fra le quali Come eravamo. Viaggio nell’Italia paleolitica (Il Mulino, 2020). Il suo intervento, Alle origini della comunicazione simbolica nell’evoluzione umana. Una capacità esclusiva ad Homo sapiens?, affronterà il tema delle origini della comunicazione simbolica nell’evoluzione umana. Attorno al confronto tra l’Uomo di Neandertal e i primi uomini anatomicamente moderni, la ricerca e il dibattito scientifico hanno investito ambiti disciplinari che spaziano dalla biologia molecolare alla filosofia, impegnati nell’identificare i fattori responsabili dell’estinzione di un’umanità esistita per centinaia di migliaia di anni nelle medie latitudini boreali. Ampi capitoli restano ancora da redigere sulle forme di interazione durante gli incontri tra diverse specie, avvenuti presumibilmente tra il Vicino Oriente e gli estremi delle terre neandertaliane. Come si identificavano, etnograficamente, i nativi euroasiatici? Quanto può risultare sostanziale la rappresentazione nell’insieme delle testimonianze archeologiche di comportamenti socio-culturali? Nonostante il patrimonio simbolico sia registrato con consistenza nel Paleolitico superiore, periodo delle prime culture di Homo sapiens, negli ultimi decenni nuove evidenze basate su dati scientifici affidabili attestano anche per il Neandertal comportamenti simbolici, dunque non esclusivamente riferibili alla sfera utilitaristica.
Infine, l’incontro di sabato 16 marzo alle ore 17.00, ospiterà Maria Giovanna Belcastro, professoressa ordinaria presso l’Università di Bologna, che ha recentemente curato, insieme a G. Manzi e J. Moggi Cecchi, Quel che resta. Scheletri ed altri resti umani come beni culturali (Il Mulino, 2022). L’intervento della prof.ssa Belcastro approfondirà I comportamenti funerari in una prospettiva evoluzionistica. I comportamenti funerari possono essere indagati in una prospettiva evolutiva e non possono prescindere dallo studio dei resti fossili umani che registrano e conservano la biologia e, più indirettamente, i comportamenti dei nostri lontani antenati, spesso rappresentando l’unica testimonianza per ricostruire la nicchia ecologica delle popolazioni vissute in un tempo molto profondo. Labili segnali dell’attenzione rivolta al destino dei morti si registrano fin da 400.000 anni fa, ma si tratta di pratiche funerarie sporadiche e non sistematiche. Prove tangibili di veri e propri riti funerari si osservano nelle fasi finali del Pleistocene (intorno a 100 000 anni fa) con la comparsa delle prime sepolture in grotta – forse le più antiche attribuibili ai Neandertaliani, popolazione estinta circa 40.000 anni fa. E’ soprattutto nella transizione tra Pleistocene e Olocene (la fase in cui viviamo), circa 12.000 anni fa, quando Homo sapiens comincia a diventare agricoltore e allevatore stanziale, che le sepolture diventeranno sistematiche e sorgeranno veri e propri cimiteri come luoghi di aggregazione e di rafforzamento dei rapporti sociali, in cui costruire un’identità di gruppo, riconoscendo comuni antenati.
Immergerci nel tempo profondo in cui ha avuto origine la nostra specie ci interroga sui diversi modi di essere umani, ma anche sul nostro modo di essere umani e sull’impatto delle nostre attività sul pianeta e gli ecosistemi.