Il Discorso della montagna
di Papa Francesco
SECONDA PARTE
(da la Piazza di settembre 2015)
“Voi siete seminatori di cambiamento”
di Gabriele Paci
– “Voi siete seminatori di cambiamento”, dice Francesco ai rappresentanti dei Movimenti popolari incontrati il 9 luglio 2015, a Santa Cruz de la Sierra, Santa Croce della Montagna, in Bolivia. Così si apre, dunque, la Seconda Parte di quello che abbiamo definito ‘Il Discorso della Montagna’ di Jorge Mario Bergoglio, sulle orme dell’altro che il suo capo e predecessore, Gesù di Nazareth, tenne su di un poggio nei pressi di Cafarnao a nord del Mar di Galilea, quasi 2.000 anni fa.
Abbiamo cominciato la pubblicazione su la Piazza lo scorso mese e numero, agosto 2015. Definendolo epocale, ché segna la storia e dà prospettive di reale impegno, tanto più in tempi in cui l’altro da sé è il grande assente. In cui l’egoismo personale e sociale è divenuto quasi unica misura di tutte le cose, anche all’interno dei grandi movimenti di cambiamento, per non parlare della riduzione ad ideologia delle religioni e dello stesso messaggio della Chiesa Cattolica.
Contro questo il Papa parla, indica, agisce. Antimontalianamente, però, non si limita a dire “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, ma indica una prospettiva concreta. In piena continuità con tutta la storia della Chiesa, ma facendo reirrompere, qui ed ora, la forza sconvolgente dell’annuncio primigenio: “L’altro da me è un valore, non uno strumento”. Un annuncio, una buona novella, un ‘eu angellion’, un evangelo, un Vangelo dunque, che rimette tutto in discussione. E riporta la speranza, al di là del riduttivismo idiota di chi ritiene di appiattire le sue sconvolgenti parole, ed azioni, all’iconografia caricaturale della consegna da parte del Presidente boliviano Evo Morales del Gesù ‘crocifisso su Falce e martello’.
Altro, ben altro e ben più, dice Francesco, che ha tante cose ancor da raccontare, per chi vuole ascoltare. (Quanto a tutto il resto…). Lasciandosi sconvolgere dalle sue parole, senza rimanere attaccato alla difesa dei propri vecchi schemi masturbatori, siano quelli di una rivoluzione fallita o di una controrivoluzione permanentemente praticata da chi difende i propri interessi all’insegna di ‘spada e vangelo’. Francesco sta mettendo in campo una svolta che resterà. “Qualcosa di nuovo, anzi d’antico” su cui abbiamo aperto dibattito, dialettica, dialogo, di cui pure daremo ampio conto. (Se ampi saranno i contributi a tal proposito).
“Questo ci tocca, ci commuove e cerchiamo l’altro per muoverci insieme. Questa emozione fatta azione comunitaria non si comprende unicamente con la ragione: ha un ‘più’ di senso che solo la gente capisce e che dà la propria particolare mistica ai veri movimenti popolari”, sostiene Bergoglio nel testo a seguire, e ne è il cuore. Poi ‘Il Discorso della Montagna’ del Papa si compie con la Terza Parte, e Conclusioni, che pubblicheremo ad ottobre: “Nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun popolo senza sovranità, nessuna persona senza dignità, nessun bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza una venerabile vecchiaia”.
A seguire e concludere, a novembre, ‘Il Discorso della Montagna’ all’origine di tutto, quello di Cristo. Per i poveri cristi.
Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, al Secondo Incontro Mondiale dei Movimenti popolari – Discorso di Santa Croce della Montagna.
Fonte: Sala Stampa Vaticana
Santa Cruz de la Sierra (Santa Croce della Montagna), Bolivia, 9 luglio 2015
2. Voi siete seminatori di cambiamento. Qui in Bolivia ho sentito una frase che mi piace molto: “processo di cambiamento”. Il cambiamento concepito non come qualcosa che un giorno arriverà perché si è imposta questa o quella scelta politica o perché si è instaurata questa o quella struttura sociale. Sappiamo dolorosamente che un cambiamento di strutture che non sia accompagnato da una sincera conversione degli atteggiamenti e del cuore finisce alla lunga o alla corta per burocratizzarsi, corrompersi e soccombere. Bisogna cambiare il cuore. Per questo mi piace molto l’immagine del processo, i processi, dove la passione per il seminare, per l’irrigare con calma ciò che gli altri vedranno fiorire sostituisce l’ansia di occupare tutti gli spazi di potere disponibili e vedere risultati immediati. La scelta è di generare processi e non di occupare spazi. Ognuno di noi non è che parte di un tutto complesso e variegato che interagisce nel tempo: gente che lotta per un significato, per uno scopo, per vivere con dignità, per “vivere bene”, dignitosamente, in questo senso.
Voi, da parte dei movimenti popolari, assumete i compiti di sempre, motivati dall’amore fraterno che si ribella contro l’ingiustizia sociale. Quando guardiamo il volto di quelli che soffrono, il volto del contadino minacciato, del lavoratore escluso, dell’indigeno oppresso, della famiglia senza casa, del migrante perseguitato, del giovane disoccupato, del bambino sfruttato, della madre che ha perso il figlio in una sparatoria perché il quartiere è stato preso dal traffico di droga, del padre che ha perso la figlia perché è stata sottoposta alla schiavitù; quando ricordiamo quei “volti e nomi” ci si stringono le viscere di fronte a tanto dolore e ci commuoviamo, tutti ci commuoviamo. Perché “abbiamo visto e udito” non la fredda statistica, ma le ferite dell’umanità sofferente, le nostre ferite, la nostra carne. Questo è molto diverso dalla teorizzazione astratta o dall’indignazione elegante. Questo ci tocca, ci commuove e cerchiamo l’altro per muoverci insieme. Questa emozione fatta azione comunitaria non si comprende unicamente con la ragione: ha un “più” di senso che solo la gente capisce e che dà la propria particolare mistica ai veri movimenti popolari.
Voi vivete ogni giorno, impregnati, nell’intrico della tempesta umana. Mi avete parlato delle vostre cause, mi avete reso partecipe delle vostre lotte, già da Buenos Aires, e vi ringrazio. Voi, cari fratelli, lavorate molte volte nella dimensione piccola, vicina, nella realtà ingiusta che vi è imposta, eppure non vi rassegnate, opponendo una resistenza attiva al sistema idolatrico che esclude, degrada e uccide. Vi ho visto lavorare instancabilmente per la terra e l’agricoltura contadina, per i vostri territori e comunità, per la dignità dell’economia popolare, per l’integrazione urbana delle vostre borgate e dei vostri insediamenti, per l’autocostruzione di abitazioni e lo sviluppo di infrastrutture di quartiere, e in tante attività comunitarie che tendono alla riaffermazione di qualcosa di così fondamentale e innegabilmente necessario come il diritto alle “tre t”: terra, casa e lavoro.
Questo attaccamento al quartiere, alla terra, all’occupazione, al sindacato, questo riconoscersi nel volto dell’altro, questa vicinanza del giorno per giorno, con le sue miserie – perché ci sono, le abbiamo – e i suoi eroismi quotidiani, è ciò che permette di esercitare il mandato dell’amore non partendo da idee o concetti, bensì partendo dal genuino incontro tra persone, perché abbiamo bisogno di instaurare questa cultura dell’incontro, perché non si amano né i concetti né le idee, nessuno ama un concetto, un’idea, si amano le persone. Il darsi, l’autentico darsi viene dall’amare uomini e donne, bambini e anziani e le comunità: volti, volti e nomi che riempiono il cuore. Da quei semi di speranza piantati pazientemente nelle periferie dimenticate del pianeta, da quei germogli di tenerezza che lottano per sopravvivere nel buio dell’esclusione, cresceranno alberi grandi, sorgeranno boschi fitti di speranza per ossigenare questo mondo.
Vedo con gioia che lavorate nella dimensione di prossimità, prendendovi cura dei germogli; ma, allo stesso tempo, con una prospettiva più ampia, proteggendo il bosco. Lavorate in una prospettiva che non affronta solo la realtà settoriale che ciascuno di voi rappresenta e nella quale è felicemente radicato, ma cercate anche di risolvere alla radice i problemi generali di povertà, disuguaglianza ed esclusione.
Mi congratulo con voi per questo. E’ indispensabile che, insieme alla rivendicazione dei vostri legittimi diritti, i popoli e le loro organizzazioni sociali costruiscano un’alternativa umana alla globalizzazione escludente. Voi siete seminatori del cambiamento. Che Dio vi conceda coraggio, gioia, perseveranza e passione per continuare la semina! Siate certi che prima o poi vedremo i frutti. Ai dirigenti chiedo: siate creativi e non perdete mai il vostro attaccamento alla prossimità, perché il padre della menzogna sa usurpare nobili parole, promuovere mode intellettuali e adottare pose ideologiche, ma se voi costruite su basi solide, sulle esigenze reali e sull’esperienza viva dei vostri fratelli, dei contadini e degli indigeni, dei lavoratori esclusi e delle famiglie emarginate, sicuramente non sbaglierete.
La Chiesa non può e non deve essere aliena da questo processo nell’annunciare il Vangelo. Molti sacerdoti e operatori pastorali svolgono un compito enorme accompagnando e promuovendo gli esclusi di tutto il mondo, al fianco di cooperative, sostenendo l’imprenditorialità, costruendo alloggi, lavorando con abnegazione nel campo della salute, dello sport e dell’educazione. Sono convinto che la collaborazione rispettosa con i movimenti popolari può potenziare questi sforzi e rafforzare i processi di cambiamento.
Teniamo sempre nel cuore la Vergine Maria, umile ragazza di un piccolo villaggio sperduto nella periferia di un grande impero, una madre senza tetto che seppe trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù con un po’ di panni e una montagna di tenerezza. Maria è un segno di speranza per la gente che soffre le doglie del parto fino a quando germogli la giustizia. Prego la Vergine Maria, così venerata dal popolo boliviano, affinché faccia sì che questo nostro Incontro sia lievito di cambiamento.
(continua a ottobre)