MAFIA CAPITALE O CAPITALE DELLA MAFIA?

Scritto da il 16 Settembre 2015

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MAFIA CAPITALE O CAPITALE DELLA MAFIA?
di Alessando Bondi*
Terra di Mezzo.
No, non è la Middle-earth, Middenheim, Middengeard di J. R. R. Tolkien. Non ci sono hobbit, elfi, orchi. Ci sono uomini e, forse, ci sono pure anelli e signori di questi anelli.
Ci sono il bene e il male in lotta; battaglie, guerre, magie di governo. Ci sono intercettazioni di un ex terrorista che descrive un sistema di corruzione richiamandosi alla Terra di mezzo. E ci sono indagini e giornali che danno titolo a questo sistema, scrivendo della battaglia per la capitale.
Mafia capitale.
Seppure l’italiano non sia la lingua degli elfi, è pur sempre primogenito del latino: vero esperanto dell’Occidente e lingua ordinata per eccellenza. Ma quando si legge di ‘mafia capitale’, non si sa bene quale termine sia più importante. Ecumenicamente verrebbe da dire che la mafia abbia trovato la sua capitale.
Ma è riduttivo pensare che sette colli e una periferia possano accontentare la mafia: logo sotto cui operano organizzazioni di cui, se non si è certi del nome e del fatturato (138 mld per SOS imprese; 150 mld per commissione antimafia, 139 mld Banca d’Italia), si è però certi dell’efficiente organizzazione, dell’inserimento internazionale e delle capacità di penetrazione nel mercato globale.
Bande.
Che sia capitale o capoluogo, la parola ‘mafia’ associata a Roma è però una novità. Per ogni genere di criminalità romana intrecciata a terrorismo, servizi segreti e massoneria deviati si preferiva parlare di ‘Bande’. Ma oggi non basta più, la banda della Magliana è teleromanzo.
Dunque, c’è altro perché la criminalità è come la fisica dei fluidi: aborre il vuoto, riempie gli spazi lasciati indifesi dalle istituzioni. Alla base dell’intreccio tra criminalità-affari-politica appare un sistema, impermeabile ai rovesci elettorali, trasversale, tecnico, di corporazione e di cooperazione. Un sistema basato sull’alterazione dell’amministrazione della cosa pubblica, piegata a prebende del potere per il potere: istituzionale e criminale.
Mafie.
Di questi tempi, gli inquirenti vedono aggirarsi in Campidoglio e dintorni anche l’associazione per delinquere di stampo mafioso (416bis c.p.).
Sulla carta è imputazione importante dei rinvii a giudizio chiesti dalla Procura di Roma per Massimo Carminati (ex terrorista dei NAR e membro della banda della Magliana), Salvatore Buzzi (ex presidente Cooperativa 29 giugno), Franco Panzironi (ex amministratore delegato AMA), Luca Odevaine (ex comandante polizia provinciale), Luca Gramazio (ex capogruppo regionale Forza Italia), Mirko Coratti (ex presidente consiglio comunale PD) e altri 53 indagati della prima e seconda fase dell’inchiesta ‘Mafia Capitale’.
Sempre sulla carta, l’art. 416bis c.p. è norma che attinge a un fenomeno, ritaglia un fatto offrendo qualche indicatore empirico della devianza criminale che vuole colpire: l’intimidazione, l’omertà e l’assoggettamento legata all’associazione per commettere delitti, per acquisire il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti, per ostacolare il libero esercizio del voto o per procurarsi voti. Insomma, norma che l’iconografia dei cittadini-spettatori collega ad altra trilogia filmica: da J. J. Tolkien a Mario Puzo; dal Signore degli anelli al Padrino.
Commissariamenti.
Lo stigma del fenomeno corruttivo, con venature mafiose rappresentato dall’imputazione di associazione per delinquere di stampo mafioso, apre la porta a possibilità investigative e a misure di prevenzione molto forti; con effetti su intercettazioni, sequestri, confische. Volendo, dice il giurista, il Comune di Roma potrebbe essere sciolto e commissariato per infiltrazioni mafiosa (artt. 143, 144 TU 267/2000). Così non si vorrà, replica il politico. Per carità di Patria, si sarebbe detto in altro tempo, l’Italia non offrirà al mondo l’immagine della prima capitale sotto controllo mafioso. E l’immagine è tutto per la politica.
Semmai il commissariamento avverrà di fatto. Avverrà per il Giubileo o per qualunque altro pretesto, perché la gestione di ogni evento è in Italia un momento eccezionale. Avverrà con un prefetto-politico e un governo-sindaco, perché in Italia si sente il bisogno di un leader con cui identificare l’istituzione senza leader. Avverrà per i finanziamenti, perché con una gestione commissariale del debito accumulato fino al 2008 sceso da 22 a 14 miliardi, ma con un incremento della nuova massa debitoria arrivata a 854 milioni su un bilancio di 7 miliardi, con l’addizionale IRPEF al 9 mille e manutenzione che l’incuria ha trasformato da ordinaria in straordinaria, il commissariamento di fatto del Comune – e non solo dei debiti pregressi – è una necessità.
In breve, Roma sarà commissariata nel debito vecchio e nuovo, nella politica e nell’immagine, senza più il diletto dei paparazzi testimoni di orge in stile romano ma finanziate dall’erario italiano.
Altro film.
Qui s’ha da finire. La storia della corruzione è predizione del futuro; la comparazione con altri Paesi è misura della normalità di un fenomeno criminale. Di questo si potrebbe scrivere, senza i toni profetici da festa paesana con cui si è commentato quest’ultimo scorcio di Vacanze romane della politica criminale.
Accidenti, il titolo di un altro film e nessuno più si diverte.
*Professore, Cattedra di Diritto penale – Dipartimento di giurisprudenza –
Università di Urbino


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